Dal Corriere del Veneto: Padova, la strage dei braccianti fantasma: «Lavoravano per una cooperativa indagata per caporalato»

Stremati dopo 9-10 ore trascorse a scaricare polli e a raccogliere frutta nelle campagne del Padovano per racimolare la miseria di qualche euro l’ora, soldi comunque preziosi da spedire alle loro famiglie in Africa, non sono mai giunti a destinazione. Si sono schiantati venerdì pomeriggio a San Pietro in Gu (Padova).

https://corrieredelveneto.corriere.it/padova/cronaca/22_maggio_24/padova-strage-braccianti-fantasma-lavoravano-una-cooperativa-indagata-caporalato-98d90f38-dad7-11ec-af96-bd4936e4fc64.shtml

Sei fantasmi a bordo di una Fiat Multipla, sei clandestini che stavano rientrando a casa, o meglio nei miseri alloggi di fortuna del Veronese dove riuscivano a chiudere gli occhi e a mangiare qualcosa tra un massacrante turno di lavoro e quello successivo. Stremati dopo 9-10 ore trascorse a scaricare polli e a raccogliere frutta nelle campagne del Padovano per racimolare la miseria di qualche euro l’ora, soldi comunque preziosi da spedire alle loro famiglie in Africa, non sono mai giunti a destinazione. Si sono schiantati venerdì pomeriggio a San Pietro in Gu (Padova), nel tentativo di evitare una colonna d’auto, nel tratto di discesa di un cavalcavia. Uno scontro frontale tra un camion e la Fiat Multipla dei braccianti, ridotta a un groviglio di lamiere. Sono sopravvissuti solo in due, i quarantenni Mounim Zohair e Abdelwahid, mentre i quattro colleghi hanno perso la vita. Sono l’autista Assaoui Soufiane, 22 anni, Sonny, nigeriano di 26 anni, e i marocchini Youness, di 25, e Ismail, di 20. 

La coop nei guai per caporalato

Vivevano a Cologna Veneta (Verona), dove ha sede la cooperativa «Emma Group», a cui è intestata l’auto su cui viaggiavano. Erano partiti per Padova alle 4 del mattino e al momento del pauroso incidente, 12 ore più tardi, stavano rincasando. Nel 2019 «Emma Group» finì al centro di un’indagine della Guardia di Finanza per caporalato e adesso risulta in liquidazione, mentre il suo legale rappresentante marocchino, dopo aver scontato 7 mesi in carcere, è libero e sotto processo per caporalato e sfruttamento della manodopera clandestina. La prossima udienza davanti al Tribunale collegiale di Verona è in programma l’11 ottobre, le accuse contestate sono gravi e si basano sui racconti di lavoratori che — stando alla indagini dei Baschi Verdi — venivano «usati nei campi nei come schiavi». C’è chi ha raccontato di «aver lavorato nei campi di tabacco senza aver mai ricevuto alcuna paga né contratto». Come le vittime della strage di San Pietro in Gu, quei fantasmi che nel 2019 trovarono il coraggio di denunciare provenivano dal Nord Africa: del Marocco sono originari anche Said Benhjila e Abdelmajid Habibi, attualmente sul banco degli imputati. Benhjila dopo il blitz delle Fiamme Gialle di Legnago nel 2019 alla «Emma group» fu arrestato: sette marocchini durante le indagini hanno spiegato di essere abituati a «prestare attività lavorativa per dieci ore, con una pausa di un’ora». 

 

 

Le auto dei braccianti

Uno degli autisti ha riferito agli inquirenti di aver «guidato l’auto che Said gli aveva fornito con il compito di prelevare otto lavoratori a Noventa Vicentina e di portarli in un terreno a San Pietro di Morubio. «Lo stesso — si leggeva nell’ordinanza d’arresto di Benhjila — aggiungeva di eseguire anche lui materialmente lavori nei campi e di aver lavorato per nove ore con una paga di 5 euro e mezzo l’ora, senza alcun contratto». A far scattare l’inchiesta e i controlli era stata proprio l’individuazione da parte dei finanzieri di una «serie di veicoli intenti a trasportare soggetti di origine extracomunitaria», mezzi che risultavano essere intestati alla «Emma group società cooperativa», di cui Benhjila risultava rappresentante di fatto. Da lì avevano preso il via i pedinamenti e si era così scoperto che i veicoli «prelevavano un considerevole numero di soggetti, tutti di origini marocchine o comunque nordafricane, trasportandoli in diverse aziende agricole locali, fornendo loro lavoro in condizioni di sfruttamento e approfittando delle condizioni di irregolarità degli stessi». Le similitudini, i richiami tra quell’indagine di tre anni fa e la strage degli «schiavi nei campi» avvenuta venerdì a San Pietro in Gu sono inquietanti.

 

Un fenomeno radicato

«I lavoratori gravemente sfruttati in condizioni indecenti e servili nel Veneto sono oltre 5.500 — attesta infatti il «V Rapporto Agromafie e Caporalato» dell’Osservatorio Placido Rizzotto — vengono pagati 3 o 4 euro l’ora per turni che d’estate arrivano anche a 13-14 ore al giorno. Spesso viene detratto dalla paga il costo del trasporto per giungere dal luogo di partenza al campo». L’incidenza del lavoro irregolare in Italia vale 79 miliardi di euro e il Veneto contribuisce con 5,6 miliardi, che equivarrebbero al 3,8% del Pil regionale. È il risvolto disumano del fenomeno immigratorio, che pende come una spada di Damocle sui 48 mila clandestini presenti sul territorio, a fronte di 509 mila stranieri residenti e regolari (dati 2021 Fondazione Moressa e Caritas). «Una piaga favorita dal fatto che su 10 mila permessi di soggiorno rilasciati in un anno solo 900 sono stati concessi per motivi di lavoro — rivela Silvana Fanelli, Cgil Veneto —. Eppure adesso non solo l’agricoltura ma anche l’industria e il turismo hanno nuovamente bisogno di manodopera». «Ormai lo sfruttamento e il caporalato in Veneto hanno varcato i confini dell’agricoltura, per trovare terreno fertile negli appalti delle aziende industriali, nell’agroalimentare, nel manifatturiero, nella logistica, nell’edilizia, nel volantinaggio — aggiunge Giosuè Mattei, segretario generale Flai Cgil —. La nostra regione insieme alla Lombardia è la più colpita al Nord, nel quale sono in corso 143 procedimenti giudiziari, per aumento del 28%. Solo Belluno non ne conta nessuno, ma nelle altre sei province riscontriamo un radicamento del fenomeno».